Pubblichiamo un bello ed ahime’ triste articolo tratto da: Il Mattino del 18-02-2011 Ed.Avellino
Autore: Marco Ciriello
La scomparsa dei libri
La domanda che mi accompagna da e che tutti quelli che conosco prima o poi mi fanno è: come fai a passare dal mondo all’Irpinia? Da Buenos Aires a Pietrastornina? Da New York ad Avellino e non stare male?
Di solito, sorrido e cerco di spiegare con molto entusiasmo come la solitudine irpina aiuti a riflettere proprio sugli incontri fatti in grandi metropoli, e l’isolamento a non montarsi la testa. E insisto sulla relatività del luogo. Però, sempre più, davanti alla programmazione dei cinema, dei teatri (non solo Avellino ma anche Benevento), e soprattutto quando non trovo i libri che voglio, tutto l’entusiasmo della difesa della provincia viene meno: maledico me stesso, le mie scelte, e uscendo dalle librerie (soprattutto di Avellino) mi riprometto di non difendere mai più la mia cattiva scelta di stare in una città di provincia.
Poi ci ricasco. Difendo il ritorno nel paese dei miei nonni e giustifico anche il ritardo per avere un libro appena uscito che non sia in classifica, o non sia stato nominato capolavoro da Fabio Fazio, Daria Bignardi, Corrado Augias o Serena Dandini. Cerco di giustificare, il piccolo libraio, ma proprio non ci riesco con le grandi catene presenti in città che non hanno non dico i libri in lingua originale, ma nemmeno i titoli Mondadori non scritti da presentatrici e attori. Per dire, qualche mese fa volevo il libro di Colombati su Gianni Agnelli, “Il re”, Mondadori, ho pensato dai, ci fanno una fiction, la storia è pop, in fondo era la nostra famiglia reale, e invece: niente, Avellino ne farà a meno. Ho una lunga lista di libri non trovati in città e di dispiaceri avuti per camminate a vuoto.
Devo confessare che fin da piccolo se scovavo un punto debole in un altro, stavo male (sì, tutta colpa di Omero, e di Achille): mi bastano una barba fatta male, una calza sfilata, un bottone mancante per star male per l’altro, e ora un libro non trovato. Così, “Fare scene” di Starnone, che è il campano più famoso e bravo, premio Strega, ci sarà, ho scommesso fino alla fine, e invece: anche questa volta, buca, a fare scena muta sono stati i commessi delle grandi distribuzioni Giunti,Mondadori e Guida che non avevano idea di quel libro, Minimum fax, e non ho chiesto mica Altaf Tyrewala, Vikas Swarup o Raffaello Baldini. Poi è stata la volta di Rumiz, uno dei nostri maggiori giornalisti, viaggiatori, niente da fare, tre giorni da aspettare per la sua ballata, come se fosse editata a Istanbul. Rosa Matteucci, non pervenuta. Paolo Nori, non arriva mai, ma lui è bizzarro nella scelta degli editori. Derrida, chi è? Il mio amico Gabriele Romagnoli (Mondadori) non sono riuscito mai a regalarlo, perché mancava sempre, o l’Irpinia lo legge a mia insaputa o c’è un complotto contro di me. E l’ho anche pensato, me lo fanno di proposito, ci deve essere un altro me che regala Romagnoli e scende prima, eppure cerco di comprare i titoli più difficili sul web, proprio per non infastidire con richieste di nicchia il libraio, per non trovarmi di fronte un uomo o una donna in difficoltà, ma non voglio rinunciare ad uscire per incontrare un libro, a perdere un pomeriggio per un autore che mi piace, e che ho voglia di leggere. E, nel tempo globale non voglio pagare il pizzo alla provincia, non con i libri, non con la cultura.
Va bene che Richard Ford non l’ho mai visto su uno scaffale (in vetrina non lo voglio), ma Piersanti e Nesi devono stare in vista tra le novità quando escono i loro libri, anche se nessuno ha mai visto le loro facce in tv. Perché sono la storia della letteratura recente, e anche i lettori di Fabio Volo e Federico Moccia devono imbattersi in loro. Non mi arrabbio per gli assembramenti di colore di copertine o per la vittoria del modello televisivo che impone le scelte, mi arrabbio con i responsabili delle librerie che non hanno attenzione per gli autori che fanno la narrativa, la saggistica del nostro paese e pretendo – anche questa è una questione di civiltà – di trovare almeno una parte di quel mondo meraviglioso e sommerso che nonostante tutto c’è in questa Italia. Basterebbe conoscere le piccole case editrici che editato pochi libri ogni anno ma tutti di una classe e uno stile impeccabili, e penso a 66thand2nd per i titoli americani (occhio ad Aprile pubblicano “The end” di Salvatore Scibona, un italoamericano considerato tra i migliori dalla critica statunitense, e so già che qui non si leggerà), Voland per i titoli russi, a Cavallo di Ferro per i titoli portoghesi e sudamericani, e potrei continuare a lungo.
Se si decide di essere librai si fa una scelta, anche di responsabilità, si ha un ruolo, magari non riconosciuto dai più, ma ancora fondamentale, e che lamenta una conoscenza. E non dico uno scaffale ma una mensola con le case editrici meridionali (non tante) e una con gli autori campani (questi sì tanti, ma in larga parte con molti argomenti in tasca) devono esserci. Che la Parodi e Faletti vincano in televisione ci sta, ma che Jon Krakauer o Erofeev, o persino Rea, Ortese e Montesano, perdano anche ad Avellino no.